lo spazio giusto per lo smart working

Avete mai pensato a quale possa essere lo spazio giusto per lo smart working?

Giacomo ha 47 anni, è CFO di AMC Italia e vuole portare al più presto all’interno della struttura una cultura più imprenditoriale e agile. Vuole che l’impresa sia guidata da una vision precisa: “Le persone devono lavorare in modo smart e per farlo serve un’azienda smart in tutto”.

Cambiare sede

Il cambio di sede, previsto in 12 mesi, avrebbe potuto rappresentare un primo passo concreto verso questo scenario dal punto di vista degli spazi e soprattutto nell’approccio ad un nuovo modo di lavorare. Purtroppo le proposte ricevute erano troppo focalizzate sulla dimensione estetico-funzionale degli spazi, ma le sfide per Giacomo e il board erano più complesse, perché legate agli approcci lavorativi delle persone e ad alcune abitudini non più funzionali alle sfide di business di AMC.

Un progetto ‘vivo’

Giacomo e tutto il board volevano un progetto ‘vivo’ inserito in una prospettiva a lungo termine, che fosse una leva di cambiamento culturale e non un semplice cambio di sede. Desideravano un progetto sostenibile e completo grazie al quale il management potesse condividere i valori fin dall’inizio cercando di ‘portare a bordo’ tutte le persone.

Quando Smartworking s.r.l. incontra Giacomo gli propone di lavorare in co-progettazione affrontando la sfida di ideare uno spazio di lavoro moderno per cogliere le opportunità di un nuovo modo di collaborare delle persone.
Federico Bianchi e Rosario Carnovale di Smartworking hanno aiutato AMC a realizzare un layout di spazi e tecnologie definitivo, affiancato da un piano di azioni di change management e di digital transformation per dare vita ad una azienda moderna.

Giacomo Montemagno - lo spazio giusto per lo smart workingL’intervista dopo il progetto

Federico Bianchi, founder di Smartworking s.r.l., ripercorre in questa intervista a Giacomo Montemagno le fasi del progetto mettendo in evidenza i primi passi di un’impresa che vuole diventare agile senza prescindere dalla connessione tra persone, tecnologia e spazi.

Inizio ringraziandoti, Giacomo, per il tempo che stai dedicando a questa nostra intervista e per gli spunti che darai ai lettori. Quando ci siamo incontrati hai detto che volevi una azienda smart in modo che le persone potessero lavorare in modo agile, c’è un episodio che ha scatenato questa idea?

L’input forte è arrivato dal direttore generale che non voleva semplicemente traslocare l’azienda. Posso dire sinceramente che non avevo colto subito il messaggio, infatti non intendeva solo l’aspetto materiale o l’adozione di soluzioni tecnologiche per renderci più digitali.
Inizialmente abbiamo pensato a postazioni wireless o sale riunioni con lavagne virtuali ma, nonostante questo non sia stato poi realizzato, abbiamo poi capito che si trattava di condividere l’idea di un cambio di cultura. Una domanda a cui rispondere è stata di sicuro ‘come organizziamo gli spazi?’ ma ci siamo resi conto che prima avremmo dovuto rispondere in modo chiaro a ‘come lavoriamo in questi spazi?’.
Avevamo bisogno di trovare qualcuno, ad esempio un consulente, per cambiare il nostro modo di lavorare e non avremmo potuto farlo da soli perché saremmo stati troppo influenzati dalla nostra esperienza.

Cosa significava lavorare in modo smart per Giacomo Montemagno, all’inizio del progetto? E oggi, cosa è cambiato?

Inizialmente conoscevo il concetto di smart working dal punto di vista del significato più comune, ma non avevo mai approfondito.
Mi sono documentato e ho iniziato a capire che avevamo bisogno di qualcosa che ci facesse sganciare, nel vero senso della parola, dalla postazione di lavoro.
Sono arrivato alla conclusione che, il cambio di sede, è stata una opportunità per cambiare il modo di relazionarci, di ridisegnare i processi partendo dal rapporto tra le persone e, successivamente, poterci dedicare alla progettazione degli arredi e delle strutture per diventare un’azienda smart.

Quali sono le caratteristiche di una persona che lavora in modo smart?

Innanzitutto deve essere in grado di rivedere costantemente quello che fa e come lo fa. Il modo migliore è chiedersi, per esempio: “Ha senso ciò che sto facendo? Ha ancora senso? Perché lo faccio in questo modo?”
Si tratta di mettere in discussione il modo in cui si lavora.
Farsi questo tipo di domande implica doversi dare delle risposte e per farlo, non è necessario essere in ufficio, otto ore davanti al computer o per forza seduti alla propria scrivania.
Probabilmente basterebbe investire tempo nel capire come lavorare nel miglior modo possibile, stando lontano dagli schemi e dal ‘abbiamo sempre fatto così’.

In quali abilità deve allenarsi una persona per lavorare in modo smart?

Ci si deve allenare a lavorare in squadra, riducendo distanze e gerarchie.
Il lavoro agile deve essere una questione che riguarda tutti, tutti devono adottare un atteggiamento smart.
Servono degli esempi concreti, delle indicazioni da seguire, ci devono essere dei percorsi. Per alcuni sarà più facile, per altri sarà più difficile, altri ancora avranno bisogno di più tempo ma una buona squadra sa coinvolgere tutti verso l’obiettivo.

Quali sono le paure più grandi di un CFO, sul lavoro agile?

Credo proprio che sia la perdita di controllo sotto vari aspetti: costi, efficienza o benefici.
Ci si deve rendere conto che viene attivato un processo che ha bisogno di tempo per dare i suoi frutti perché incide sulla cultura interna che si deve modificare e adattare. Da parte del management è necessario passare da un approccio di controllo ad uno di responsabilità. Solo questo atteggiamento permette allo smart working di garantire la produttività, l’efficacia e il ROI atteso.

E come si affrontano, secondo te?

Innanzitutto, parlo per i miei omologhi CFO o C level in genere, dobbiamo ‘saltare’ e, con coraggio, decidere di puntare sulla responsabilità più che sul controllo, come dicevo prima.
Ognuno di noi, persone di azienda a tutti i livelli, dobbiamo chiederci: “cosa farei se l’azienda fosse mia?”. Credo proprio che sia l’atteggiamento giusto per uscire dall’ottica di dipendente, creando dialogo su ogni cosa e scardinando gerarchie inutili.

In che cosa ti ha cambiato questo progetto?

Di sicuro sto progressivamente abbandonando l’idea di dover controllare tutto. Qualche piccola ansia c’è ancora ma posso dire che non si tratta di una necessità fondamentale.
Se ho bisogno di una conferma la chiedo, se ho un dubbio lo verifico. Ho acquisito consapevolezza che fiducia implica responsabilità e viceversa.

Se potessi conservare un ricordo del lavoro svolto, quale sceglieresti e perché?

Il primo workshop fatto insieme a Rosario e Federico con solo il gruppo dirigente.
Abbiamo veramente messo a nudo il modo di vedere l’azienda di ognuno di noi e le aspettative sul futuro dell’azienda. È stato utile e illuminante dare forma, attraverso le immagini, a ciò che si respira in azienda ed è stato efficace perché l’abbiamo fatto tutti insieme: marketing, HR, settore finanziario.
Ci siamo sentiti accomunati dalla stessa voglia di essere più leggeri e meno pesanti, seppur con obiettivi specifici differenti.

Come immagini AMC tra 10 anni? E Giacomo Montemagno?

Posso dire come mi piacerebbe vederla. Essendo un’azienda di vendita diretta mi piacerebbe vederla connessa in una maniera molto più stretta con la rete commerciale grazie alla tecnologia, all’essere smart e all’essere al passo coi tempi.
Vorrei che diventasse un’azienda attrattiva per i clienti e per chi vuole lavorare in AMC, che abbia una identità riconosciuta internamente ed esternamente.
Io mi auguro che ciò che faccio continui a piacermi e che piaccia a chi deve lavorare con me. Dieci anni però è un tempo troppo lungo per dire quale sarà ‘il mio posto nel mondo’ ma spero comunque di non avere rimpianti.

Immagina di raccontare la tua esperienza al CFO di un’altra azienda. Se volesse imbarcarsi in un cambio culturale per la sua azienda, da dove gli consiglieresti di partire, concretamente?

Gli direi di cominciare col chiedersi dove vuole andare e poi di mettere sul tavolo ciò che sente come un peso.
In ogni caso gli consiglierei di non farlo da solo, ma con persone che possano facilitare un vero e proprio percorso verso il lavoro agile, in grado di aiutarti a cambiare il punto di vista in termini di persone, spazi e tecnologia come è successo a noi in AMC.

Clicca qui per approfondire le attività svolte in AMC