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Chi ci conosce sa quanto crediamo che la flessibilità (ad esempio sotto forma di settimana corta), sia un asset fondamentale per la felicità dei dipendenti e il successo di un’azienda.

È uscito, a questo proposito, un articolo sul Corriere della sera in cui la giornalista Valentina Iorio intervista Federico Bianchi e Rosario Carnovale di Smartworking srl.

Il tema è la settimana corta e i suoi benefici che sembrano crescere giorno dopo giorno.

I vantaggi della settimana corta

A partire dall’esperimento britannico che ha conquistato il news feed dei social delle ultime settimane si è poi arrivati a parlare dei vantaggi che la riduzione da 5 a 4 giorni lavorativi porta con sé. Tra questi:

  • una maggior attrattività e innovazione organizzativa
  • un’apertura nei confronti della Gen Z
  • un senso di appartenenza più forte nei confronti dell’azienda
  • una maggiore produttività

La produttività viene lesa?

La preoccupazione più sentita rimane quella legata all’organizzazione. Come gestire i team e il lavoro? Perderemo in produttività? 

Domande lecite se non fosse che la produttività non è legata alla modalità di lavoro (ore passate in ufficio, giorni in smart working). Ormai questo dovremmo averlo compreso e fatto nostro come concetto. 

La produttività non viene lesa se il team è in grado di organizzarsi. La settimana corta puo’ diventare uno stimolo in questo senso. Non a caso, l’esperimento britannico è stato un successo e la produttività non ha subito nessun calo.

A beneficiare dei vantaggi della settimana corta sembrerebbero quindi essere entrambi, lavoratori e azienda. Maggior tempo da dedicare a se stessi a parità di efficacia sul lavoro.

Settimana corta lavorativa, non solo nelle multinazionali.

Noi di Smartworking srl – specializzati in flessibilità lavorativa – siamo da subito tra i sostenitori e promotori dell’iniziativa.

Dopo il successo del primo esperimento britannico, con il recente plauso del sindacato Cisl, anche in Italia si sta muovendo qualcosa così da allargare lo spettro delle aziende potenzialmente interessate.

Tra i pionieri nel settore socio-assistenziale e sanitario, Fondazione Colleoni ha da poco istituito la settimana corta nella sua sede centrale. Ne parliamo con Paolo Cerruti, Direttore Generale.

Com’è nata l’iniziativa della settimana corta?

“Nella primavera del 2022, dopo due anni per noi incredibilmente faticosi a livello organizzativo ed economico a causa del Covid. A seguito del blocco degli straordinari per tutti gli uffici di staff, con la Responsabile HR abbiamo pensato all’introduzione della “Settimana Corta” per ridare spinta e motivazione ai nostri collaboratori. La proposta è stata accolta con grande entusiasmo sia dal Consiglio di Amministrazione che dai collaboratori della sede direttamente interessati”.

Da dove siete partiti?

“Siamo partiti con una esperienza pilota di 3 mesi, gestita in autonomia dato il numero limitato di dipendenti nella sede centrale di Castano Primo. La notizia agli interessati è stata comunicata tramite una riunione, nella quale abbiamo anche condiviso le nuove modalità di gestione della settimana che consiste nella riduzione di una mezz’ora della pausa pranzo e ingresso, in modo da mantenere il monte ore totale settimanale”.

Siete pionieri nel settore, qual è stata la sfida più grande da affrontare?

“La sfida maggiore è stata – ed è ancora – quella di relazionarci con le aree operative (ovvero i servizi gestiti dalla Fondazione come residenze per anziani, centri diurni, assistenza domiciliare, case albergo…) che faticano a comprendere la chiusura della sede centrale di venerdì. Un’assenza mai totale data la natura della nostra attività: da sempre infatti – weekend compresi – sono attive tutte le reperibilità necessarie. Il settore è un settore ancora molto tradizionalista come impostazione del lavoro, dove la “presenza” la fa ancora da padrona sui processi, l’obiettivo è quello di creare un equilibrio non basato sull’emergenza (tipico: dalla struttura devo avere subito una risposta dalla sede) ma basato su programmazione e procedure”.

Indice

  1. Introduzione
  1. I risultati dello Studio del 4-Day-week global
  1. Il nostro caso studio sulla short week
  1. Dal lavoro agile alla settimana corta, parla l’avvocato

Introduzione

Dopo Intesa San Paolo e Lavazza, la Settimana corta è il tema del momento anche in Italia, una delle nuove sfide per l’HR.

Guardando alla crisi energetica e alla sua influenza nella gestione quotidiana dell’attività delle famiglie e delle imprese, parlare di “short week” assume un particolare significato. Ancora una volta un fattore esterno diviene acceleratore di un cambiamento organizzativo, come durante la pandemia con il lavoro da remoto.

Durante il webinar di lunedì 30 gennaio 2023 – Federico Bianchi e Rosario Carnovale di Smartworking srl, insieme al Legal advisor – Paola Salazar – hanno descritto ampiamente i primi esperimenti nel campo di alcuni nostri clienti e quali strategie l’HR deve mettere in atto per far fronte a questo cambiamento.

Rosario Carnovale: modello 100-80-100

Secondo lo studio del 4-Day-week global – una comunità senza scopo di lucro che sta portando avanti sperimentazioni molto importanti sul tema – la settimana corta può essere spiegata attraverso un modello noto come: 100-80-100. Ricevo il mio stipendio al 100%, lavoro all’80% (da 40h a 32h) a fronte dei medesimi risultati.

Il primo pilot organizzato da 4-Day-week global insieme alle Università più prestigiose del mondo, ha portato ai primi risultati su 27 aziende che hanno dato al momento le seguenti risposte:

  • 18 aziende hanno deciso di confermare il modello
  • 7 hanno intenzione di confermarlo
  • 1 è propensa
  • 1 ancora indecisa

Leggi QUI lo studio completo.

E in Italia?

La pandemia ha accelerato il tema dello Smart Working e della Short Week. Forte attenzione ai temi correlati al benessere, soprattutto per la Gen Z.

Al centro di queste tematiche troviamo la sperimentazione del gruppo Magister (si occupano di HR) su due società del gruppo: per 11 mesi è prevista in azienda una riduzione del monte ore – da 40 a 32 – senza variazione di stipendio e di risultati (100-80-100).

Obiettivo dell’azienda: maggiore attenzione al tempo, coniugando la voglia di essere professionisti di successo con grande attenzione alla propria sfera privata.

Intesa San Paolo: modello 100-100-100

Percorso diverso per Intesa San Paolo: aumentato a 120 giorni lo Smart Working all’anno, senza limiti mensili, e la settimana corta di 4 giorni da 9 ore lavorative, a parità di retribuzione senza obbligo di giorno fisso e con adesione volontaria. Modello 100-100-100.

Federico Bianchi: caso studio Settimana corta

Un’azienda nostra cliente, con cui collaboriamo dal 2021, ha mostrato l’esigenza di avviare questa nuova sperimentazione. Stiamo parlando di una realtà italiana retail con più di 2000 dipendenti e 230 filiali, che durante il covid ha preso consapevolezza su quello che sarebbe stato il suo futuro del lavoro

È stata inizialmente impostata una survey interna che ha fatto emergere come il 65% delle attività mappate (su diversi ruoli) sono state ritenute più produttive se svolte da casa.

Come far convivere benessere e produttività?

Per affrontare questa domanda e lavorare sulle tematiche emerse, nascono i cantieri agili, insieme all’idea della settimana corta come opportunità per poter lavorare meno a parità di efficacia.

Parte la sperimentazione, inizia la fase di analisi e la prima bozza di short week con i seguenti elementi chiave:

  • garantire flessibilità e produttività
  • progetto che parte dalle persone e non calato dall’alto
  • elemento fondamentale, la parte giuslavoristica.

Paola Salazar: dal lavoro agile alla settimana corta

Sono state sperimentate forme di flessibilità organizzativa strutturate sulla gestione dell’orario di lavoro, nella pratica:

  • Alcuni hanno limitato la scelta a giorni a settimana o a mese
  • Altri hanno preferito «giocare» su percentuali dell’orario di lavoro settimanale nel rispetto degli orari standard
  • Altri hanno collocato le ore di lavoro giornaliero in una fascia più ampia (ad. es. 8.00-20.00) prevedendo delle fasce orarie di «garanzia»
  • È questo il meccanismo attraverso il quale possiamo iniziare a ragionare in termini di settimana corta con gli strumenti a disposizione (la legge e la contrattazione collettiva.)

La disciplina dell’orario di lavoro ci dà già degli strumenti utili per gestire la settimana corta, ovvero:

  • la definizione, « è orario di lavoro: qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni» (art. 1, c. 2 lett. a) D.Lgs. n. 66/2003) 
  • « L’orario normale di lavoro è fissato in 40 ore settimanali. » (art. 3 c. 1 D.Lgs. n. 66/2003) – non c’è più l’obbligo di collegare la giornata lavorativa alle otto ore ma c’è il limite settimanale di 40 ore
  • « I contratti collettivi di lavoro stabiliscono la durata massima settimanale dell’orario di lavoro » (art. 4, c. 1 D.Lgs. n. 66/2003).

Come è stato affrontato il percorso dal punto di vista legale

Partendo dall’accordo di lavoro agile e dalla gestione del lavoro da remoto possiamo avere:

  • Regolamenti sempre più incentrati su ampie forme di flessibilità oraria
  • Accordi individuali personalizzati anche in ragione dei ruoli (si pensi a coloro ai quali non si applicano i limiti ordinari della disciplina sull’orario di lavoro)
  • Ricorso alla contrattazione collettiva di secondo livello per forme di flessibilità in deroga alle previsioni del contratto collettivo.

I 3 elementi fondamentali per partire

Per gestire in generale la sperimentazione è fondamentale avere strumenti efficaci per la messa in pratica:

  • Regolamento, può diventare un’opportunità di flessibilità attraverso un patto tra lavoratore e azienda. 
  • Planning tool (elemento di pianificazione), serve pianificare in modo collaborativo per garantire i livelli di servizi richiesti.
  • Integrazione payroll, avere comunque la possibilità di caricare in modo semplificato gli aspetti amministrativi legati alla settimana corta.

VisionAlps è la prima iniziativa B2B in Italia dedicata alla “digital transformation of Alps” e il loro podcast approfondisce proprio le attuali tematiche legate alla trasformazione digitale delle Alpi. Per una puntata è stato ospite Federico Bianchi, Founder di Smartworking srl che supporta l’integrazione dello smart working a livello aziendale già nel periodo pre-pandemia. Oggi ci racconta come punti a soddisfare le nuove esigenze delle imprese, risolvendo non solo problematiche infrastrutturali ma anche organizzative. Per ascoltare la puntata del podcast clicca QUI.

Partiamo appunto da Smartworking srl, che cos’è, quando è nata e perché è un dato importante da sottolineare?

Sì, grazie di questa puntualizzazione. Noi siamo nati nel 2015, quando il mondo cominciava ad affrontare le tematiche del lavoro a distanza. Tematiche nate tanti anni fa che oggi in Italia stanno cominciando a fare breccia nelle organizzazioni. Il nostro approccio è quello di aiutare le organizzazioni e supportarle rispetto ai nuovi modi di lavorare, attraverso un percorso di facilitazione, ma anche fornendo servizi e strumenti per affrontare le nuove modalità di lavoro che vedono nel lavoro per obiettivi e nel concetto di purpose gli elementi caratterizzanti.

In questo articolo puoi leggere nel dettaglio cosa vuol dire smart working per noi.

Nati nel 2015 prima della pandemia che sappiamo tutti essere stato un forte acceleratore per quanto riguarda lo smart working. Ma quali erano i problemi che pre-Covid avete riscontrato nell’organizzare questa modalità di lavoro?

Prima del Covid c’era sostanzialmente un forte timore da parte dell’organizzazione. Ci si chiedeva se ci si potesse fidare delle proprie persone e c’era sempre una paura rispetto al fatto di far lavorare le persone da casa. Poi ogni tanto succedeva che alcune persone non stessero bene un giorno della settimana, c’era però una consegna importante, il portatile era a casa e a quel punto faceva comodo che quel singolo completasse le attività, seppur da casa. 

Se andate ad intervistare aziende che stavano avviando i progetti prima del Febbraio 2020, vi diranno che il grande timore riguardava diversi temi: Chi lo può fare? Per quanti giorni? Solo le figure apicali? In certi contesti invece poi la pandemia ci ha messo di fronte alla necessità. 

Io conosco aziende che prima erano consapevolmente contrarie al fatto di avviare progetti di smart working e che poi, di fronte alla pandemia, hanno iniziato a rastrellare il mercato alla ricerca di computer portatili perché altrimenti l’attività della propria azienda si sarebbe inevitabilmente bloccata. Quindi di fronte alla necessità si è abbracciata la circostanza. Il nostro ruolo pre pandemia era molto diverso da quello di adesso. Allora era quello di aiutare le organizzazioni nel buttare il cuore oltre l’ostacolo, come si dice. A valle di una verifica tecnologica per essere certi che ci fossero le condizioni minime per poter lavorare in un certo modo, quello che dicevamo all’organizzazione era: si può fare, si deve fare, perché se non lo fate vuol dire che non vi ponete la domanda di come sarà il lavoro del futuro. 

Io ho due figli di 8 e 10 anni e mi auguro che il loro modo di lavorare non sarà più vincolato allo spazio e al tempo, ma sarà un modo di lavorare più libero, più legato agli obiettivi. Oggi il mio dubbio è quanto le organizzazioni saranno pronte, tra una decina/dozzina di anni, ad affrontare questo cambiamento?

Noi abbiamo sempre spinto le nostre aziende a provare e sfruttando la sperimentazione come contesto all’interno del quale cogliere le informazioni necessarie per poter capire quali fossero i limiti di questo modo di lavorare, quali problematiche portava con sé e così via. La connettività è quello che mi serve per poter lavorare da remoto. Ho cambiato il mio modo di lavorare, magari sono diventato anche freelance nel frattempo, quindi ho abbandonato il lavoro dipendente e ho deciso di essere un consulente e questa cosa mi permette di affrontare il lavoro in maniera diversa. Ma la domanda è: nelle organizzazioni, che cosa succede? E questo è il grande tema. Anche perché il il rischio è che se non si fa veramente una transizione nei modi di lavorare e non si passa ad un lavoro per obiettivi con i giusti strumenti e che abbia anche la digitalizzazione come obiettivo, si ritorni un po’ alle vecchie modalità.

Ci troviamo oggi, dicevi prima, in una fase ibrida, nel senso che abbiamo scoperto quali sono i vantaggi dello smart working però allo stesso tempo si è anche tornati negli uffici e questa può rappresentare un’ulteriore difficoltà?

Assolutamente sì, infatti diciamo che il lavoro, come si usa dire adesso, ibrido è sicuramente più complesso del lavoro totalmente in remoto. Ovvero, noi prima eravamo abituati pre Covid a lavorare principalmente in presenza, il lavoro durante la pandemia ci ha fatto capire che la maggior parte, o quantomeno tutte le attività che hanno carattere individuale, si possono svolgere meglio da casa, in solitudine, piuttosto che in un contesto di ufficio dove c’è chiaramente disturbo e interruzioni, e la produttività può così di fatto aumentare.

Il problema dove sorge? Il problema sorge quando io mi devo relazionare e collaborare. La collaborazione può essere risolvere un problema tecnico, risolvere un problema tecnico/ amministrativo, oppure essere creativi oppure fare una riunione di team. Ecco qui il sistema comincia a scricchiolare, nel senso che prima erano abituati alla presenza, durante il Covid siamo stati abituati a essere ciascuno nella propria abitazione e diciamo che in qualche modo si è portato a casa l’obiettivo. 

Adesso siamo in una situazione ibrida, nel senso che io organizzo una riunione e non ho la certezza che il 100% delle persone sia in presenza o da remoto. Questa cosa, tra l’altro, ha anche un aspetto tecnico non banale, cioè che una riunione dove 3 persone sono in presenza e 3 sono da remoto rischia di essere molto poco efficace dal punto di vista tecnico se non ho gli strumenti adeguati.

Quindi è un problema non tecnologico, è un problema organizzativo?

Esatto, perché il problema tecnologico, come ad esempio nella riunione ibrida, entra in maniera prepotente, ma il vero tema è quello organizzativo.

Le organizzazioni devono imparare ad affrontare la gestione dei propri team in modo tale che la riunione sia un momento nel quale si condividono problematiche, opportunità, necessità e in un certo senso ciascuno si assume la propria responsabilità rispetto a degli obiettivi che il team deve raggiungere. 

Solo a quel punto ciascuno è libero di lavorare nel tempo e nei modi che preferisce. Questo vuol dire lavorare per obiettivi. Invece la riunione non è efficace se intesa come continuo allineamento, perché non sono magari chiari gli obiettivi che dobbiamo raggiungere o questi sono in continuo cambiamento.

Le riunioni svolte in maniera ibrida sono sicuramente meno efficaci, quindi c’è un po’ la tendenza a ritornare in ufficio perdendo l’occasione di fare un cambio di paradigma, di passare dal lavoro, appunto basato sui task, sulle attività, in un certo senso assegnate ad una logica per cui il manager si pone come colui che cerca di tirar fuori il meglio dalle proprie persone e creare il contesto affinché ciascuno svolga al meglio il proprio lavoro. E poi ciascuno lo realizzi ovviamente.

In tutto questo il vostro ruolo è anche quello di valorizzare gli aspetti positivi e limitare invece quelle che possono essere le controindicazioni?

Sì, assolutamente, il nostro è un approccio non dogmatico.

La cosa importante è che le persone e le organizzazioni siano consapevoli di ciò che funziona e di ciò che non funziona al proprio interno e se lo dicano in faccia. In sintesi: Io vivo un’esperienza di lavoro ibrido, ci saranno delle cose che funzionano molto bene, altre che non funzionano. L’importante è cominciare a dirsele e poi affrontare la crescita dell’organizzazione per fare in modo che queste problematiche vengano risolte. 

Il nostro ruolo è in un certo senso essere un po’ degli specchi, chiaramente degli specchi che portano attenzione sui temi centrali evitando di focalizzarsi sulle cose futili. Però il tema è essere capaci di cambiare, perché tra l’altro il futuro delle organizzazioni è il continuo cambiamento, al di là dello smart working. Il mercato è in continua evoluzione e se io non sono in grado di ascoltarmi e ascoltare il mio mercato per capire quali sono i cambiamenti che devo apportare ai miei prodotti e ai miei servizi rischio di andare fuori dal mercato. E se io non ho un meccanismo di ascolto dei clienti e dei lavoratori non avrò mai un approccio cosiddetto agile al mio business. 

Quindi è comunque una cultura dell’innovazione, non è la cultura dello smart working, la cultura dell’innovazione che deve entrare in azienda, sia, nei processi primari, ma anche nel modo di lavorare.

Short Week: un trend del momento o una rivoluzione nel mondo del lavoro destinata a rimanere? Paola Salazar,  Avvocato Giuslavorista e Legal Advisor di Smartworking srl, ha analizzato il fenomeno in questo articolo andando oltre l’aspetto puramente normativo. Parliamo quindi di settimana corta per la seconda uscita del format – “Le risposte Agili dell’avvocato”.

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Diversamente, abbiamo deciso di raggruppare anche qui le tematiche affrontate in una serie di articoli. Se ti sei perso la prima uscita clicca qui!

Lavoro Agile e Settimana corta

C’era una volta il lavoro agile….

Eh sì, perché il tema oggi all’ordine del giorno sembra non essere più il lavoro agile, ma la settimana corta. Ma se ci troviamo oggi a parlare finalmente e concretamente di orario di lavoro e di settimana corta, lo dobbiamo proprio al lavoro agile. A quel fondamentale principio del lavoro per obiettivi senza vincoli di tempo e di spazio che è il presupposto fondante del lavoro agile, così come ci viene restituito dalla norma (art. 18, c. 1 L. n. 81/2017).

Non solo, se si guarda alle caratteristiche del lavoro agile, ma anche alla stessa definizione normativa di orario di lavoro contenuta nella legge, si può vedere che è orario di lavoro “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività e delle sue funzioni” (art. 1 D.Lgs. n. 66/2003).

La norma non impone le otto ore giornaliere sui cinque giorni della settimana ma preferisce il richiamo ad un criterio di “disponibilità delle energie psicofisiche del lavoratore” che in via generale, proprio grazie al lavoro agile, risulta oggi svincolato dalla necessaria presenza fisica nei locali dell’azienda ed apre pertanto degli spazi di riflessione su una maggiore flessibilità nell’organizzazione dell’orario di lavoro entro il limite di legge delle 40 ore settimanali.

È questo il senso ed il significato della settimana corta a parità di salario, nel rispetto della disciplina sulle pause e anche dei limiti di ragionevolezza – e di sicurezza – nella durata giornaliera e settimanale della prestazione lavorativa.

Parlare oggi di settimana corta assume un particolare significato, guardando anche alla crisi energetica e alla sua influenza sulla gestione quotidiana dell’attività delle famiglie e delle imprese. Non è solo questo, ancora una volta un fattore esterno diviene acceleratore di un cambiamento organizzativo, come durante la pandemia con il lavoro da remoto.

Il significato vero e profondo della settimana corta è quello di dare valore e spazio più concreti anche ai tempi di non lavoro. Qualcuno si è spinto fino a considerare particolarmente utile per la produttività avere più giorni di riposo. E chi di noi non ha sperimentato in concreto cosa vuol dire lavorare dopo un periodo più o meno o prolungato di riposo? La vera sfida per il futuro risiede proprio nella capacità di istituire sistemi di misurazione e di controllo dei risultati che diano la misura di questo valore.

Quando l’orario di lavoro viene utilizzato come strumento di organizzazione flessibile del lavoro (nei limiti dettati dalla legge e dalla contrattazione collettiva di ciascun settore) diviene anche strumento utile per dare valore (misurabile) sia ai tempi di lavoro sia ai tempi di non lavoro, proprio in una logica di miglioramento generale della qualità della vita.

Ci vediamo alla prossima uscita!

PAOLA SALAZAR – Avvocato, esperto in diritto del lavoro. Dal 2009 il tema della conciliazione vita-lavoro, dell’organizzazione flessibile del lavoro e, oggi, del lavoro agile, è seguito sia per interesse personale, sia per interesse professionale come Legal Advisor di Smartworking srl.

Un cambiamento inevitabile

Il mondo del lavoro sta cambiando, è sotto gli occhi di tutti, quale sarà la forma definitiva che assumerà è impossibile dirlo ora, probabilmente sarà una forma ibrida. Ciò che possiamo affermare con certezza è che questo cambiamento coinvolgerà ed anzi, ha già coinvolto, inevitabilmente anche gli spazi legati alla casa e all’ufficio. 

Di spazi noi ci occupiamo da tempo, nel farlo ci appoggiamo a due architetti che sono allo stesso tempo partner e alleati nei nostri progetti. Parliamo di Rachele Storai e Raffaele Sabbadini. Ci siamo conosciuti in uno spazio di coworking a Milano qualche anno fa e abbiamo iniziato a collaborare insieme. Con loro oggi abbiamo fatto alcune riflessioni.

La contaminazione della casa

In quella che potremmo definire la prima grande ondata, l’anno scorso, tutti abbiamo dovuto portare il lavoro a casa e quindi, in un certo senso, anche un pò l’ufficio. C’è stata una contaminazione degli spazi privati che è avvenuta senza che ce ne rendessimo conto. C’è chi si è abituato a lavorare in autonomia, in solitudine, in silenzio e chi invece ha riscontrato maggiori difficoltà di concentrazione. A causa degli spazi ridotti o poco organizzati (giustamente) per accogliere una postazione di lavoro, a causa della presenza di figli e di altre mille distrazioni. Questa contaminazione non è stata facile da gestire, ne abbiamo parlato con Rachele in un episodio delle nostre Colazioni Agili che vi riportiamo qui e su cui facciamo un breve focus.

FOCUS

Laura aveva appena comprato casa a Milano, una casa non troppo grande, doveva essere un punto d’appoggio in città. Scoppia la pandemia. Laura si trova in questa casa vuota, ancora da arredare, e con una serie di attività lavorative da portare avanti. 

Chiede aiuto a Rachele, insieme ridisegnano gli spazi in funzione delle nuove priorità che non sono più quelle di avere un punto di appoggio per la notte e poco altro. Ora Laura in quella casa deve trascorrere tutte le sue intere giornate. Con Rachele trovano una soluzione e Laura da quel momento in poi riesce a lavorare efficacemente da casa avendo a disposizione un piccolo angolo adibito a postazione di lavoro.

L’ufficio si è introdotto nella casa di Laura durante la pandemia e le necessità si sono ribaltate ma la soluzione a cui sono giunte Laura e Rachele è stata più che soddisfacente.

La contaminazione dell’ufficio

La casa è stata contaminata, ma come non pensare che lo sia stato anche l’ufficio?

La stessa cosa sta infatti succedendo per gli spazi di lavoro. Basti pensare ai nuovi condomini progettati con spazi di coworking al loro interno, ai nuovi uffici con nursery e pet friendly. Questa ibridazione degli spazi che sta avvenendo sempre più frequentemente ci porta a ripensare il concetto di ufficio e casa come entità a sé stanti. Se molte aziende proseguiranno nella direzione dello smart working l’ufficio diventerà importante come luogo di condivisione e aggregazione, la sua funzione sarà sempre più quella di ritrovo per co creare e progettare insieme ai colleghi. 

Per fare un esempio concreto riportiamo il caso raccontato da Raffaele sempre in una Colazione Agile che puoi rivedere qui.

FOCUS

Prima del Covid un’agenzia di comunicazione di Milano aveva progettato i nuovi uffici con l’aiuto di Raffaele e altri professionisti. Spazi open, phone bot, share desk e altre caratteristiche tipiche degli uffici più moderni.

Dopo il covid questa azienda ha ricontattato gli architetti, piano piano stanno rientrando in ufficio e si sono resi conto che ad oggi in presenza si “danno fastidio” a vicenda. 

Gli spazi open amplificano rumori, voci e suoni a livello acustico. La diffusione del suono non li aiuta a riprendere con serenità e hanno così chiesto aiuto per riorganizzare nuovamente gli spazi in funzione delle nuove necessità. 

La richiesta è comune ad altre società, oggi la priorità è diventata quella di avere un comfort acustico, avere quindi degli spazi chiusi in cui poter lavorare, sia singolarmente che in team. Avere phone bot più grandi, vetrate a dividere gli spazi e pannelli per l’assorbimento acustico.

Dalla casa, all’ufficio, alla città

Siamo partiti dalla casa per arrivare all’ufficio ed infine a colei che ospita entrambi, la città. Oggi si parla molto di città in 15 minuti, il concetto di riuscire quindi a reperire tutti i servizi di cui abbiamo bisogno in 15 minuti. Si parla di riqualificazione dei borghi che si stanno adoperando sempre meglio per ospitare i lavoratori in workation. C’è una maggiore attenzione alla sostenibilità e alla mobilità per gli spostamenti dei lavoratori.

Come cambierà il rapporto città e luoghi di lavoro in futuro? Sicuramente qualcosa cambierà, ci sarà la necessità di congestionare meno i mezzi pubblici, la possibilità di lavorare in posti diversi dalla città, più in generale ci sarà una ridefinizione degli spazi e dei confini di “dove lavorare” che saranno sempre meno definiti e sempre più labili.

In questa riflessione l’elemento fondamentale sono le persone ed in particolare, i leader. La scala dell’ufficio è cambiata così come lo sono gli spostamenti e quindi la città, è fondamentale ora che chi guida i team sia in grado di dare e mantenere armonia ed equilibrio. Dare la possibilità alle persone di scegliere da dove lavorare in funzione dell’attività da svolgere. 

L’ufficio del futuro è fatto di spazi nuovi, nuovi modi di spostarsi, vedere la città e di leader agili.